mercoledì 14 novembre 2007

Fear and Loathing in Stansted

Sbollita la rabbia eccomi qui a Stansted su di una panchina incazzato nero (ok, forse non mi sono ancora calmato del tutto).
Qualcuno mi deve 12 ore della mia vita, quel qualcuno le ha prese in cambio di miei 5 minuti di ritardo: 35 minuti prima del volo contro i 40 che la "strict" policy aziendale prevede. Non si finisce mai d'imparare inglese, "strict" pensavo volesse dire rigida/stretta invece, ecco!, è un false friend e vuol dire bensì "godo-nel-vederti-contorcere-su-di-una-panchina". Buono a sapersi, me ne ricorderò quando il CEO di ryanair attraverserà la strada mentre io sopraggiungo, con sospetto tempismo e malcelata calma, alla guida della mia R4 finemente agghindata per l'occasione con allegri rostri arrugginiti.
Ok, ora basta pensare a quel canazzo di bancata del CEO.
La situazione in aeroporto è surreale nè vuoto nè pieno, qualche persona corre, alcune invece hanno l'aria incredula di chi come me dovrà passare la notte qui.
E' appena passata davanti a me una ragazza che quasi in lacrime ha appena chiuso il telefonino; mi viene la brillante idea di consolarla con un po' di smalltalk e candidamente chiedo:
-you lost your flight too, haven't you?
-what? oh no no, I think I've just lost my job
vedendo la mia faccia sbiancare dalla vergogna sorride e si allontana tristemente. Ecco l'ennesima prove che nel mio caso pater certus est (non son sicuro di aver coniugato certo correttamente ma....), certe funamboliche abilità di gaffeur non possono essere frutto di un darwiniano salto evolutivo. No, decisamente non mi hanno messo in qualche culla sbagliata alla nursery.

Intanto qui il via vai continua ai passeggeri si sono aggiunti gli impiegati dei negozi ormai chiusi che tra 4 ore riapriranno. Fa effetto, sono veloci, quasi meccanici, sembra quando al teatro tra una scena e l'altra si spengono le luci e sul palco si vedono tante persone che nel buio si muovono a colpo sicuro, ognuno ha un suo compito per preparare la scenografia per la prossima scena.

Magneticamente gli sguardi adesso si dirigono verso un punto.
Sta passando una ragazza non tanto attraente, ma...sta spingendo un carrello a più piani pieno di cornetti, doughnuts, beveraggi vari!
Gli sguardi immediatamente non sono più per il carello, ma tra di noi lupi solitari, anime in pena, late-comers...ed è facile leggere il pensiero anarcoide che passa nella mente di ognuno di noi: si scrutano gli sguardi alla ricerca di un complice disposto all'assalto del carrello approviggionamenti.
La tensione adesso cala, la ragazza si allontana sana e salva. I freni inibitori stavolta hanno tenuto, pericolo scampato.

In tutto questo comunque sono sempre su di un panchina che cerco di dormire. La dinamica della ricerca di una posizione accettabile per dormire da parte dell'aspirante airport-bench-sleeper (mi è uscita così!), su panchine rigorosamente posto singolo, merita qualche riga.
Si comincia con 5 minuti di frenetico arrabbattamento necessari per familiarizzare con quello che non è esattamente il proprio giaciglio usuale. Dopo poco si trova una posizione che è sorprendetemente comoda, si incomincia a pensare che, tutto sommato, non sarà una notte così lunga, basta sopportare il piede che penzola fuori dalla panchina, non far caso a un qualcosa di non indentificato che ostinatamente prova a penetrarti nel fianco e l'inezia che per poter entrare in quello spazio ristretto la tua testa è piegata in un qualcosa degno dell'esorcista. Si capisce allora che, forse, questa soluzione non è proprio l'ottimale e se ne cerca un'altra; per successive approsimazioni il processo va avanti finchè la stanchezza cala come una lama di ghigliottina e ci addormenta in una posizione e con una smorfia che chiunque vi abbia visto deve necessariamente essere fatto fuori prima che possa scattarvi una foto.
Il sonno comunque è appagante, dura per pochi minuti, ma è intenso. Sembra che tutto vada bene ma qualcuno comincia a urlare per l'aeroporto "Fuck you, Fuck you Goteborg", e inevitabilmente ci si sveglia.
Meno male che un poster davanti a me riportante un frase di Oscar Wilde mi fa sorridere: "Work is the curse of the drinking class".

Sono ormai le 5. E' tempo di un caffè, un muffin e nel contempo cercare la forza di non lasciarsi andare a gesti di violenza contro gli impiegati ryanair. E' tempo di andare al check-in. Secondo tentativo. Speriamo stavolta ingrani. Italia sto arrivando!

2 commenti:

IvanDM ha detto...

LOL
Sappi che a casa mia, nel mio letto caldo e comodo... ti ho pensato! :)

ps Ottimo post per cominciare!

unoacaso ha detto...

...maronn che cazzimma!